mercoledì 10 ottobre 2012

In partenza il Congresso Mondiale di Ginecologia, ne parla il Ginecologo Luigi Langella


congresso2012-giencologo-luigi-langella
Roma sarà la sede per il Congresso mondiale di ginecologia e ostetricia, per il miglioramento della salute della donna. Il Presidente della FIGO, Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia, dichiara che “Il congresso sarà un'ottima occasione di interscambio scientifico e permetterà il confronto e il miglioramento del dialogo tra tutte le organizzazioni internazionali pubbliche e private impegnate nel favorire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo indicati dalle Nazioni Unite”.

giovedì 30 agosto 2012

Ultime news di ostetricia dal Ginecologo Luigi Langella

Uno dei temi più discussi fra colleghi ginecologi è il ruolo delle infezioni nelle interruzioni di gravidanza ricorrenti. Sono possibili infezioni fetali o placentari, oppure infezioni croniche dell’endometrio o corioamnionite.
I virus sono i patogeni presenti più frequentemente, anche secondo le ricerche condotte dal Ginecologo Luigi Langella e alcuni di questi possono essere ricorrenti, è il caso del citomegalovirus che può colpire la placenta mediante viremia, anche tramite percorso dalla cervice.

Per queste ragioni è opportuno farsi visitare dal proprio ginecologo, seguiteci per ulteriori aggiornamenti.

giovedì 26 luglio 2012

Ginecologo Luigi Langella, il problema dell'incontinenza nella donna

È noto che l'incontinenza urinaria sia un problema non solo medico, poiché riguarda anche la sfera sociale. Di questo tema si è discusso a un meeting al quale ha partecipato il ginecologo Luigi Langella, che ha ricordato perché molte donne non dichiarano questa condizione e dunque il dato statistico è sottostimato.

martedì 5 giugno 2012

Il Ginecologo Luigi Langella discute di citologia vaginale

Il metodo citologico consente in alcuni casi specifici la diagnosi differenziale tra minaccia di aborto, aborto inevitabile e incompleto. Si può diagnosticare un aborto incompleto solo se nel secreto aspirato sono presenti elementi trofoblastici.

giovedì 10 maggio 2012

Ginecologo Luigi Langella: sostanze ipotalamiche e anovularietà

Quali sono i farmaci agenti sull'anovularietà e quali sostanze sono di concreto aiuto alle terapie per curare questa patologia?
A questa domanda ha provato a rispondere il ginecologo Luigi Langella e altri medici esperti, i quali hanno trattato i releasing hormones.
Esistono 3 tipologie di disfunzioni ovariche, pur presentando talvolta caratteristiche miste: la prima include donne con amenorrea e una bassa attività estrogenica con disfunzioni ipotalamiche ipofisarie, oltre a una forma di ipopituitarismo.

La seconda riguarda donne con disturbi del ciclo mestruale e con cicli ovarici anovulatori, oppure amenorree secondarie; infine la terza tipologia concerne donne con disfunzione ovarica associata ad una bassa attività estrogena.
In questi casi i livelli di gonadropine risulteranno elevati ed una sola determinazione sarà sufficiente ad individuarli.
Nel pdf è possibile consultare la ricerca integrale effettuata da Langella.

mercoledì 18 aprile 2012

Il ginecologo Luigi Langella e la certificazione in videoendoscopia

Luigi Langella Ginecologo
Grazie agli sviluppi della tecnologia medica molti interventi sono possibili oggi tramite operazioni non invasive o comunque prive di disagi per il paziente.
Il ginecologo Luigi Langella è tra i medici che hanno conseguito la specializzazione in videoendoscopia ginecologica diagnostica e operativa, come verificabile dal documento allegato, scopriamo ora in cosa consiste.

Le procedure chirurgiche che non comportano l'apertura della parete addominale sono sempre preferite dai medici, tra queste la videoendoscopia, che però non è praticata dappertutto.
Evitare il “taglio” dell'addome rassicura la paziente e consente comunque di diagnosticare e intervenire accuratamente per le patologie degli organi genitali interni.

Riguardo gli altri trattamenti che le cliniche possono praticare vi sono quelli per via vaginale (come la correzione del prolasso utero-vaginale), l'incontinenza urinaria con posizionamento di sling sottouretrali e l'asportazione di cisti ovariche con conservazione dell’ovaio e la miomectomia.
Luigi Langella ha scelto di specializzarsi nella tecnica videoendoscopica proprio per ridurre il più possibile le complicanze post-operatorie alle pazienti.
Luigi Langella Videoendoscopia Ginecologica

lunedì 2 aprile 2012

Luigi Langella a proposito dell'impiego del sulprostone


L'impiego Del Sulprostone e Del Gemeprost Nell'interruzione Volontaria Di Gravidanza: Considerazioni Cliniche Su 60 Pazienti Sottoposte A Ivg (Legge 194.

Luigi Langella, P. Giacometti

Scopo dell'indagine è stato quello di verificare l'utilità dell'impiego di due prostaglandine sintetiche – il gemeprost, analogo della PGE1 ed il sulprostone, analogo della PGE2 – nella interruzione volontaria di gravidanza, praticata in ospedale a norma di Legge 194.
L'entrata in vigore della suddetta legge, nel 1978, ha comportato un ingente impegno di uomini, ambienti ed attrezzature – e quindi di costi – nelle strutture sanitarie pubbliche, per cui si rende necessario ottimizzare l'intervento di interruzione di gravidanza al fine di renderlo il più breve ed efficace possibile nell'interesse della donna e del presidio deputato all'attuazione di tale legge.
L'isterosuzione, pur essendo una tecnica di aspirazione cavitaria rapida e poco cruenta, comporta comunque una dilatazione meccanica del canale cervicale e non sempre è sufficiente da sola a svuotare completamente la cavità uterina, tanto più quanto la gestazione si avvicina alla XIII settimana; richiede necessariamente la narcosi, con i problemi preventivi e cautelativi che questa comporta.
L'impiego degli analoghi delle prostaglandine nell'IVG vuole avere il fine di evitare la dilatazione meccanica del canale cervicale potenzialmente pericolosa – in qualche caso anche difficile nelle nullipare gravide alla VI–VII settimana -, e di determinare espulsione completa del prodotto del concepimento: il conseguimento dei suddetti scopi fa si che possa essere evitata la narcosi e la revisione cavitaria uterina.

Questa parte della ricerca condotta dal ginecologo Luigi Langella è stata pubblicata per far conoscere il suo lavoro nell'ambito della ricerca medica. Luigi Langella sulprostone

mercoledì 28 marzo 2012

Gravidanza Simultanea Intra ed Extrauterina


Prima parte del report curato dal Dott. F. Panini e dal Ginecologo Luigi Langella.

Lo sviluppo contemporaneo di una gravidanza uterina e di una gravidanza extrauterina rappresenta ancora oggi una evenienza rara e degna di particolare interesse. Essa può essere definita una gravidanza multipla (Maurizio) nella quale due uova fecondate durante lo stesso ciclo si annidano e si sviluppano contemporaneamente, una in cavità uterina, l'altra in sede ectopica. Questa contemporaneità delle due gravidanze la differenzia dalla possibile coesistenza di una gravidanza intrauterina con gli esiti di una pregressa gravidanza ectopica, generalmente litopedio.
Il primo caso di gravidanza contemporanea intrauterina ed extrauterina fu segnalato da Duvernay nel 1708.
Da allora la casistica si è fatta sempre più numerosa anche se le cifre globali risultano spesso discordanti tra gli AA.

Nel 1940 la casistica riportata nella letteratura mondiale era infatti di 294 casi secondo Bernstein, di 304 casi secondo Mitra, di 352 casi per Ludwig e di 400 casi per Powell. Nel 1952 Zarou riportava 415 casi; Viviano nel 1956 citava 437 casi e secondo Valsecchi nel 1959 i casi descritti s'aggiravano su un totale di circa 440 casi.
Secondo le più recenti statistiche i casi descritti in letteratura di gravidanza contemporanea intra ed extrauterina non superano i 500 casi (Magendie, Marque e De Soza) con una frequenza dello 0,8% sulle gravidanze ectopiche e dello 0,003% - 0,015% su tutte le gravidanze (P. Voz-Pratt.-Spague).
In quasi tutti i casi illustrati si trattava di gravidanze tubariche (Mulla e Johns); rarissimi i casi conosciuti in cui la gravidanza uterina era concomitante ad una gravidanza ovarica (Hertig, Marenus, Planas e Silverberg, Mulla e Johns), ed eccezionale la simultaneità con una gravidanza addominale secondaria (Chapman, Marenus).

Circa l'origine dei due ovuli fecondati, appartenenti ad uno stesso ciclo è possibile che essi provengano o da un solo follicolo primitivamente provvisto di due cellule uovo o da due follicoli maturati contemporaneamente, con sede in uno stesso ovaio o in due ovai diversi.
Ancora molto discussa, (è il parere di Luigi Langella) ma praticamente dimostrata, per quei casi nei quali l'epoca di evoluzione e il grado di sviluppo delle due gravidanze intra ed extrauterine simultanee era nettamente diversa, la possibilità di una superfetazione, intesa però come fenomeno d'eccezione estremamente raro (Clarck, Moudry, Ezes). In proposito caratteristico è il caso di Clarck nel quale la gravidanza tubarica era di due mesi mentre la gravidanza uterina era a termine.

lunedì 12 marzo 2012

Luigi Langella ginecologo, sintesi e risoluzione di un caso di fibromioma

Riassunto: Gli Autori, un team di medici che include il Ginecologo Luigi Langella, descrivono un caso di fibromioma previo del collo uterino in una donna gravida a termine di travaglio di parto.
Il parto si espletò per via vaginale nonostante la presenza del grosso fibroma grazie alla sua particolare sede di impianto ed alla possibilità di fuoriuscire dal canale vaginale al davanti della parte presentata.

Secondamento fisiologico. Si attua un controllo emostatico della base di impianto del grosso fibroma cervicale con punti al margine destro e sin. della stessa.
Si ripone il fibroma in vagina con garza in loco rinviando ad un secondo momento l'asportazione dello stesso.
Regolare l'immediato post partum. Successivo puerperio con note di sub-involuzione uterina e lievissima riduzione del volume del fibroma cervicale che tende a prolassarsi all'esterno con iniziali fenomenti necrotici.
Pertanto in 12ª giornata si procede per via bassa ad asportazione del fibroma cervicale in parte macerato.
Intervento: si estrinseca fuori dai genitali il grosso miofibroma impiantato sul carrello anteriore.
Incisione vaginale con scollamento della vescica verso l'alto.
Emostasi della base di impianto mediante 4 punti transfissi. Escissione. Sutura del bordo vaginale anteriore sul collo. Zaffo vaginale. Ulteriore puerperio regolare. Dimessa in VII giornata dall'intervento.
Pezzo operatorio: tumefazione rotondeggiante con volume 12 X 14 cm in fase di involuzione puerperale, di consistenza duro-pastosa a superficie liscia in gran parte ricoperta da mucosa esocervicale con zone di necrosi emorragica. All'es. Ist. Leiomiofibroma uterino a partenza cervicale con aree di necrosi emorragica.
Abbiamo voluto descrivere il caso giunto alla nostra osservazione in cui, nonostante la mole cospicua del modulo fibromatoso, la possibilità di peduncolarsi all'esterno ha ugualmente consentito il parto per vie naturali.

Ginecologo Luigi Langella su un caso di fibromioma

mercoledì 7 marzo 2012

Il Ginecologo Luigi Langella e le metodiche per il ciclo anovulare

Regione Campania – U.S.L. 44, Ospedale « Loreto Nuovo » - Napoli-Divisione Ostetrico-Ginecologica
Primario: Prof. Franco Panini

VARIE METODICHE PER IL TRATTAMENTO DEL CICLO ANOVULARE
S. ANSALDI – Luigi Langella – A. CORCIONE – A. A. ROMANO – M. R. ANUNZIATA – V. MIRANDA
Nella moderna pratica terapeutica, nel campo della sterilità anovulatoria, disponiamo ormai di numerosissimi farmaci più o meno efficaci nelle varie forme di tale patologia. Vi sono, però, alcune metodiche, concettualmente meno accettabili, ma che bisogna valutare da un punto di vista pratico e forse anche storico; si tratta dei trattamenti ginecologici riflessi, della radioterapia ipofiso-ovarica e dei trattamenti chirurgici dell'ovulazione. Alcune di queste condotte terapeutiche sono probabilmente superate, altre ancora in voga, ma è importante avere ugualmente una visione generale di tutte le possibilità nel campo della sterilità anovulatoria.

A) Trattamento ginecologico riflesso

Tutta una serie di manovre ginecologiche sono suscettibili di favorire occasionalmente la stimolazione di un'ovulazione.
Tra queste sono da segnalare delle manovre diagnostiche che comportano la stimolazione dell'istmo (l'isterometria, la biopsia dell'endometrio, l'insufflazione e la isterosalpingografia) che possono determinare un'ovulazione e quindi una gravidanza, così come la elettrostimolazione del collo uterino, o l'aspirazione endouterina.
Va segnalato che ogni manovra può agire come stimolo riflessogeno a livello del collo, ma è anche possibile un'azione di tipo psicosomatico che sblocca in via nervosa il riflesso dell'ovulazione.

B) Radioterapia ipofiso-ovarica

Questa metodica è stata per lungo tempo l'unico mezzo efficace per il trattamento dei cicli anovulari.
I risultati ottenuti furono abbastanza buoni e addirittura venne riferito che almeno il 44% delle donne ebbero delle gravidanze dopo questo tipo di terapia.
Per quanto riguarda le malformazioni derivanti da questa terapia è da escludere un'azione negativa in questo senso.

C) Pessario di Petit Le Four

L'impiego del Pessario di Petit Le Four nella sterilità femminile è un problema di neuroendocrinologia clinica.
Lo studio è stato condotto complessivamente su 21 donne in età dai 18 ai 42 anni che presentavano sterilità anovulatoria per periodi che variano da caso a caso da 2 a 15 anni.
Prima di adottare la decisione di applicare il dispositivo di Petit Le Four per ogni paziente sono stati espletati i seguenti esami, oltre la visita ginecologica classica:
1. Esame del marito o partnet.
2. Isterosalpingografia.
3. Biopsia dell'endometrio con striscio vaginale.
4. Controllo dell'ovulazione.
5. Studio della funzione tiroidea.
6. Dosaggi degli steroidi seguenti nelle urine di 25 ore in condizioni basali:
a) Fenolsteroidi.
b) Pregnandiolo.
c) Pregnantriolo.
d) 17 Ketosteroidi.
e) 17 Idrossicorticoidi.

A queste donne veniva introdotto previa dilatazione con le sonde di Hengar il pressario di Petit Le Four nel canale cervicale uterino e fissato mediante un punto in catgut o lino, o mersilene: l'apparecchio veniva fissato al labbro inferiore o posteriore della portio.
Dopo 7 giorni l'apparecchio veniva rimosso e la donna dimessa era invitata ad avere rapporti coniugali possibilmente a metà ciclo.
Su 221 casi trattati i soggetti che hanno concepito entro 12 mesi dall'applicazione del pessario sono stati 50 e cioè in percentuale il 22%.
Delle 50 gravidanze, 41 soggetti hanno condotto la gravidanza oltre il 180° giorno mentre negli altri casi 9 (18%) la gravidanza si è interrotta prima del 180° giorno.
Un tentativo di analizzare gli effetti del pessario in relazione alle diverse condizioni patologiche che sono state ritenute possibili cause di sterilità può essere il seguente:

Condizioni Patologiche
Numero complessivo
Gravidanze
%
Aborti
Sterilità essenziale
64
13
20,3
1
Privi di ovulazione
85
20
21
3
Con ipoplasia uterina
31
23
25,2
5
Difetto di posizione dell'utero
33
9
27,2
2

Al pessario è stata chiesta un'azione meccanica di dilatazione del canale cervicale o correzione di difetto di sviluppo, o di posizione dell'utero.
Si è avuto infatti un aumento dell'incidenza percentuale delle gravidanze nei casi di ipoplasie e di difetto di posizione dell'utero.
La sollecitudine del processo ovulatorio provocato dal pessario endocervicale avviene in questi casi con un meccanismo in cui lo stimolo meccanico sul collo uterino agisce verosimilmente alla stregua di un trigger capace di rimettere in moto per un certo tempo l'attività ciclica delle strutture ipotalamo-ipofisoovariche che presiedono all'ordinato svolgimento dell'attività ovulatoria.
Del resto molte osservazioni sembrano ammettere l'esistenza nella donna di meccanismi riflessi utero-ipofisari.
E' ammessa l'esistenza e la validità fisiologica di riflessi di Ferguson secondo i quali la dilatazione del collo è capace di provocare la liberazione di ossitocina (Ferguson, Harris, Chisci e coll.).
Analogamente a quanto accade con il riflesso della suzione a livello del capezzolo.
Per quanto riguarda la liberazione di gonadotropine in conseguenza di uno stimolo a livello dell'utero, numerose osservazioni risultano positive in tal senso (Ferris, Vimes, Garrone, Durando).
Secondo l'indagine clinica eseguita dallo staff del Ginecologo Langella sono state tratte alcune conclusioni:
a) non sembra giustificato l'abbandono del pessario di Petit Le Four la cui efficacia in certe forme di anovularietà è stata riconfermata dai risultati ottenuti;
b) nelle forme di sterilità legata a difetti di sviluppo dell'utero e di posizioni dell'utero la sua efficacia sembra più specifica e non facilmente raggiungibile da altre terapie mediche;
c) nelle forme di sterilità dipendenti da difetto ovulatorio i risultati sono paragonabili a quelli ottenuti con farmaci induttori dell'ovulazione senza presentare alcuno degli inconvenienti legati a tale terapia.
Ginecologo Luigi Langella, report sul ciclo anovulare

mercoledì 22 febbraio 2012

Ginecologo Langella: le fasi delle patologie ovariche

FASE PROLIFERATIVA
Ogni volta che si è fatta diagnosi di fase proliferativa (corretta, insufficiente o irregolare) non era mai presente progesterone. Per quanto riguarda invece le variazioni degli estrogeni, l'argomento merita una analisi più approfondita.

I ranges di variabilità degli estrogeni nei cicli normali sono compresi tra i 18 e i 214 pg/ml in fase follicolare, per la metodica citata; la morfologia non ha permesso di valutare il tipo di range esistente nelle varie fasi della fase proliferativa (come invece è possibile fare nella secretiva), d'altronde con l'ematossilina-eosina non è possibile una datazione giorno per giorno dell'endometrio della prima età del ciclo.
Alcuni casi, quasi tutti esclusi dalla presente trattazione (sempre dello stesso Ginecologo) in quanto la biopsia è stata eseguita in un'epoca non opportuna ai fini di una corretta valutazione morfo-funzionale, dimostrano una istologia in fase proliferativa intermedia o avanzata, mentre gli esami ormonali sono già caratterizzati dal picco LH. Ma è noto che ogni endometrio perfettamente coordinato per il periodo corrispondente ad una fase proliferativa intermedio-avanzata, è espressione di quel corretto bilancio ormonale che, in ogni momento, può far scattare l'ovulazione; inoltre è noto che il picco LH precede di circa 36 h la rottura del follicolo.

Quindi nel nostro caso specifico, non essendosi fatti prelievi ripetuti (spikes), ma avendo una misurazione unica, possiamo pensare che essa sia stata eseguita all'inizio del picco LH (la cui durata è di 23 h). E' infine altrettanto vero ed era già noto fin dai tempi di Noyes, che i primi segni dell'ovulazione sono apprezzabili morfologicamente solo 24-36 h dopo la deiscenza del follicolo. Pertanto nel periodo ovulatorio può esistere un silenzio endometriale di 2-3 giorni, nei quali la mucosa uterina rimane in fase proliferativa.
Poiché i piccoli vacuoli sottonucleari di glicogeno, che sono riconoscibili nel primo giorno dopo l'ovulazione, non sono morfologicamente distinguibili da secrezione abortive, per evitare errori i morfologi non classificano il primo giorno dopo l'evoluzione.

Da quanto detto, si deduce che assolutamente non si devono fare biopsie endometriali né in fase proliferativa, né quando i dosaggi dell'LH e del progesterone dimostrano che l'ovulazione è appena avvenuta.
Per quanto concerne lo studio delle fasi proliferative normali o patologiche, per correlarle più strettamente ai valori dell'estradiolo e delle gonadotropine e valutare i possibili ranges per il ciclo fisiologico e per i cicli anovulatori da follicolo-insufficienza o da follicolo-persistenza, sono necessari studi molto più complessi, con dosaggi ormonali giornalieri. D'altro canto la letteratura non offre dati confortanti in proposito. Esistono solo dati relativi agli stati iperplastici della pre- e post-menopausa, il periodo più studiato nell'ambito della patologia disfunzionale ginecologica.

L'analisi di tali dati ancora non chiarisce quale sia il profilo ormonale steroideo in quelle pazienti. Da sempre questi studi hanno urtato contro una realtà di fatto: pochi casi indagati, dosaggi ormonali in genere mal eseguiti, morfologia non idonea. Al proposito, si deve comunque tener presente che lo studio di queste pazienti è particolarmente difficile, in quanto non sempre la patologia per la quale si presentano al ginecologo è tanto grave o fastidiosa  da far loro accettare indagini senz'altro lunghe come quelle necessarie a questi studi.

Nella nostra indagine, per quanto riguarda le fasi proliferative, abbiamo avuto l'impressione che il parametro morfologico più importante per valutare il tasso estrogenico sia quello delle mitosi. Ove presenti, anche in ghiandole molto piccole, apparentemente ipotrofiche, esse possono dimostrare i rari casi in cui c'è dissociazione fra livelli di ormoni circolanti e recettività endometriale spontanea o indotta nella terapia.
Nelle irregolarità proliferative, espressione di follicolo-persistenza climaterica, i tassi estrogenici non sembrano trovarsi entro ranges definiti e, attualmente, non ci sono parametri morfologici che indichino quale sia il tasso estrogenico. Cioè quando ci troviamo di fronte ad un endometrio da irregolare stimolo proliferativo, l'esame morfologico, attualmente, non è in gradi di dire se la persistenza estrogenica sia bassa, media, alta e/o se l'endometrio sottoposto a tale stimolo sia in fase di crescita, di staticità o di declino. Per arrivare ad una comprensione morfologica del quadro, bisognerebbe dosare continuativamente gli estrogeni e contemporaneamente ripetere 3-4 biopsie endometriali nello spazio di 2-3 mesi.

Nella nostra casistica compare sovente l'associazione di tale quadro morfologico, per donne in giovane età (30-35 anni), con anamnesi di sterilità, con valori di LH tendenzialmente alti; in effetti ancora oggi non sappiamo quali siano statisticamente i più importanti aspetti morfologici nelle forme di Stein-Leventhal, poiché non sono mai state correttamente studiate.
Un accenno particolare meritano i cicli lunghi da lunghezza abnorme della fase proliferativa. Come abbiamo visto, essi si associano soprattutto a stillicidio ematico, poi a sterilità. Ciò è molto importante, perché spesso possono condurre il medico a diagnosi e terapie errate, infatti possono essere interpretati come come cicli anovulatori (visto anche che a volte queste pazienti mostrano una certa difficoltà nel concepimento), mentre si tratta più spesso di break-through bleeding, cioè emorragie focali della mucosa uterina conseguenti ad una stimolazione estrogenica più lunga del normale, ma che verrà poi seguita da una ovulazione.

FASE SECRETIVA
Nel nostro studio tale fase è apparsa sovente regolare. Compare con una frequenza del 9,2%, confermando ancora una volta che, nelle più svariate situazioni patologiche, non sempre la causa è da ricercare nello stato endocrino della paziente. E' probabile che a parte quelle situazioni in cui esistono fini alterazioni endocrine, non documentabili morfologicamente e la cui diagnosi richiederebbe indagini molto sofisticate, la maggior parte di questi casi sia da imputare ad una non corretta anamnesi sessuologica e ginecologica.

Questi cicli ovulatori regolari hanno mostrato sempre una buona correlazione col dosaggio ormonale; il loro studio comunque è da farsi sempre nel momento della maggiore azione del corpo luteo, cioè 10-11 giorni dopo l'ovulazione, non al settimo giorno, come ritenevano Novak e Noyes; infatti in questo modo si può fare diagnosi solo di avvenuta ovulazione, mentre a noi interessa più che altro stabilire se il livello di progesterone raggiunge valori adeguati, e, per renderci conto di questo morfologicamente dobbiamo vedere la predecidualizzazione perivascolare dello stroma, che compare appunto in 10-11ª giornata.

L'insufficienza del corpo luteo è stata dimostrata molto spesso in pazienti con sterilità, infertilità e mono-metrorragie e molto più raramente nelle altre patologie. Essa si ritrova nel 55% delle pazienti sterili e infertili da noi studiate. Ciò è in contrasto con quanto affermato da alcuni AA. (Israel, 1950 e Dallenback, 1968) secondo cui un tale reperto lo si ha rispettivamente nel 3,5% e nel 20% delle donne sterili. Questa differenza la possiamo spiegare da una parte tenendo presente che si tratta di pazienti ricoverate in un centro specializzato di fertilità e sterilità, quindi l'incidenza di una certa patologia sarà sicuramente maggiore che in una normale clinica ostetrico-ginecologica, come quelle dove sono state eseguite le ricerche a cui si è fatto riferimento; dall'altra che i criteri da noi seguiti nella classificazione delle insufficienze secretive ricalcano quelli proposti da Gigon e Dallenback (1968), in base ai quali esaminando attentamente le correlazioni morfologico-cliniche, si dimostra che l'esistenza di cicli lunghi e corti in fase luteale è quasi sempre in coincidenza con una insufficienza secretiva e che comunque per discriminarli è sempre necessario avere la data della mestruazione successiva alla biopsia.
Infatti si può affermare che un ciclo è lungo solo se la mestruazione successiva interviene in un tempo adeguato dopo il picco LH o la datazione morfologica endometriale. Diverse infatti sono le implicazioni a seconda che la lunghezza del ciclo dipenda dalla fase proliferativa o dalla secretiva: mentre è fisiologica una maggior lunghezza o brevità della fase proliferativa, altrettanto non si può dire per quanto riguarda la secretiva. Ed infatti con le correlazioni ormonali abbiamo visto che in questi ultimi casi i livelli di progesterone sono sempre bassi (5-7 ng/ml).

Morfologicamente in base alle osservazioni di Gigon, si possono distinguere tre ordini di cause alla base della insufficienza secretiva (tab. 3):
1) centrale, con deficiente stimolazione del corpo luteo;
2) ovarica, con insufficienza del corpo luteo;
3) da prevalenza degli estrogeni endogeni.

In realtà lo studio endocrinologico fino ad ora è stato in grado di distinguere solo insufficienze secretive dovute ad inadeguata produzione di estrogeni e progesterone in fase luteale e di estrogeni pre-ovulatori.
Si dovrebbe allora cercare di correlare meglio, mediante una attenta anamnesi e molti prelievi quotidiani, i dati morfologici con quelli clinici. Infatti, oltre ad avere conoscenze molto scarse sulle cause dell'insufficienza secretiva, non si sa nulla sui limiti di idoneità della mucosa uterina per l'annidamento dell'uovo fecondato.

CASISTICA
Endometrio da insufficiente stimolo secretivo

1) D.D.I., 37 anni, menarca 13 anni, cicli di 28 giorni.
La paziente è stata ricoverata presso il nostro Servizio per un problema di infertilità (ha avuto un aborto spontaneo al 3° mese di gravidanza e, successivamente, morte endouterina del feto al 7° mese).
Isterosalpingorgafia e insufflazione utero-tubarica: normali; la cromocelioscopia ha mostrato un modesto ristagno del mezzo di contrasto nell'infundibolo delle tube.

2) L.A., 32 anni, menarca a 15 anni, cicli di 28 giorni.
La paziente è stata ricoverata per un'indagine sulla sterilità.
Precedenti indagini (isterosalpingografia, insufflazione utero-tubarica, spermiogramma del marito) si sono dimostrate normali.

3) M.G., 31 anni, menarca a 12 anni, cicli di 28-30 giorni.
La paziente è stata ricoverata nel nostro servizio per un problema di sterilità.
Isterosalpingografia e cromocelioscopia: normali.

4) C.G., 21 anni, menarca a 12 anni, cicli di 28 giorni.
La paziente presenta da qualche tempo mestruazioni a carattere emorragico.

5) R.L., 31 anni, menarca a 11 anni, cicli di 28 giorni.
La paziente si è rivolta al nostro servizio per risolvere un problema di sterilità.
Precedenti indagini (isterosalpingografia, insufflazione utero-tubarica, spermiogramma del marito) si sono dimostrate nella norma.

6) R.A.M., 27 anni, menarca a 13 anni, cicli di 28 giorni.
La paziente riferisce che, da circa un anno, la mestruazione è preceduta da un o stillicidio ematico della durata di alcuni giorni, inoltre presenta un problema di sterilità.

giovedì 9 febbraio 2012

Nuove ricerche del ginecologo Luigi Langella: La terapia riguardo la Sterilità Iperprolattinemica

A)Indicazioni
Insufficienza luteinica ed iperprolattinemia.
L'iperprolattinemia è associata spesso ad insufficienza luteinica. E' stato confermato che l'eccesso di prolattina è coinvolto nella patogenesi dell'insufficienza luteinica e che il trattamento con CB 154 che riduce la prolattinemia comporta la ripresa ritmica della secrezione di gonadotropine ipofisarie, la cui alterata ciclicità sembra essere alla base dell'insufficiente produzione steroidea del corpo luteo.
E' prematuro, secondo il parere medico del ginecologo Luigi Langella, speculare circa gli effetti diretti o indiretti esercitati dalla bromocriptina sulla maturazione del follicolo e sulla funzione del corpo luteo: se dimostrati, tali effetti potrebbero spiegare la discreta efficacia del CB 154 nel trattamento dell'insufficienza luteinica associata a normoprolattinemia.

B)Induzione dell'ovulazione con bromocriptina nei microprolattinomi
La bromocriptina si dimostra un farmaco efficace nella induzione dell'ovulazione in donne portatrici di microprolattinoma; nessuna complicanza neurologica si ha nel corso della gravidanza; unico dato negativo: i livelli di prolattina circolanti risultano aumentati rispetto a quelli pregravidici nelle pazienti portatrici di microprolattinoma.
Essendo stata stabilita una correlazione tra le dimensioni del microadenoma a livello di prolattina circolante, si può dedurre che l'episodio gravidico, aumentando i livelli di prolattina circolante, aumenta il volume del microadenoma.
La dose di bromocriptina da somministrare dipende dai valori della prolattinemia basale.

C)Bromocriptina nella sindrome dell'ovaio policistico
In alcuni casi di sindrome dell'ovaio policistico (PCO) è stata riscontrata la presenza di elevati livelli di prolattina (PRL), onde l'utilità del trattamento con bromocriptina.
Infatti la terapia eseguita con tale farmaco ha condotto da un lato a una remissione della sintomatologia periferica proprio della PCO e dall'altro anche all'eventuale regolarizzazione della funzione ovarica; risultati sicuramente migliori di quelli ottenibili con la terapia con clomifene o con la terapia chirurgica di resezione cuneiforme dell'ovaio policistico, valide nell'induzione della gravidanza, ma transitorie nel loro effetto, o ancora con la terapia con antiandrogeni quali il ciproterone acetato o con cortisonici quali desametazione: questi ultimi validi nel senso di una riduzione e remissione sintomatologica ma soltanto dei sintomi periferici.
La terapia con bromocriptina sembra essere indicata in quei casi di PCO con iperprolattinemia ove è stata risolutiva sia sotto l'aspetto dell'induzione dell'ovulazione sia della sintomatologia accessoria periferica.

D) Effetti collaterali
Questi sono molto rari: essi possono consistere in ipotensione posturale, nausea, vomito, stipsi. Non si sono verificati altri effetti, a seguito delle analisi svolte dall'equipe di Luigi Langella ginecologo.

Metergolina
Un farmaco capace di ridurre la secrezione di prolattina similmente alla bromocriptina e per il quale potranno probabilmente valere le stesse indicazioni terapeutiche , è la metergolina.
Il farmaco è un derivato dell'acido lisergico (8 carbossiammino) (Metil 1,6 – Dimetil ergolina estere) e la sua azione anti prolattinica è simile a quella della bromocriptina; il suo meccanismo d'azione è tuttavia differente, agendo esso come antagonista scrotoninergico.
Studi preliminari hanno dimostrato che la metergolina è capace di ridurre la prolattinemia e di restaurare l'ovulazione e il flusso mestruale in alcune donne affette da amenorrea iperprolattinemica.
La posologia consigliata è di 4 mg per 3 volte al giorno.
Effetti collaterali: sono molto rari e consistono in vertigini, cefalea, ipotensione posturale.
Luigi Langella ricerca sull'induzione dell'ovulazione

lunedì 6 febbraio 2012

Altre ricerche sul diabete in gravidanza del Dottor Luigi Langella

Ci concentriamo ora sulle conseguenze del diabete in gravidanza, riportando uno studio dell'equipe degli Ospedali Riuniti del Vallo di Diano «Luigi Curto e SS Annunziata», guidata dal ginecologo Luigi Langella.

T E R A P I A

Per quanto riguarda il trattamento delle madri diabetiche, non si può prescindere dai vari gradi e stadi della malattia. Pertanto allo scopo di standardizzare i vari quadri clinici e, quindi, i diversi trattamenti per ognuno, è utile attenersi alla classificazione di Priscilla White.
Classe A: prediabete. Massima probabilità di sopravvivenza per il feto. Diagnosi posta anche in base ad un alterato, ma di poso, test di tolleranza al glucosio. Non necessita terapia insulinica. E' sufficiente un controllo della dieta.
Classe B: diabete manifesto. Pazienti con inizio della malattia dopo i venti anni di età. Durata della malattia inferiore ai 10 anni. Assenza di vasculopatie. Terapia insulinica.
Classe C: diabete manifesto. Inizio della malattia tra i 10 e i 19 anni. Sono presenti vasculopatie (arteriosclerosi retinica, calcificazioni limitate ai vasi degli arti inferiori). Terapia insulinica.
Classe D: diabete manifesto. Inizio della malattia prima del 10° anno di età. Durata della malattia da oltre 20 anni. Presenza di gravi vasculopatie (retinite, albuminuria, ipertensione labile). Terapia insulinica.
Classe E: diabete manifesto. Inizio della malattia prima del 10° anno di età. Durata della malattia da oltre 20 anni. Presenza di gravi vasculopatie (retinite, albuminuria, ipertensione labile). Calcificazioni delle arterie pelviche dimostrabili radiologicamente. Terapia insulinica.
Classe F: Inizio della malattia prima del 10° anno di età. Durata della malattia da oltre 20 anni. Presenza di gravi vasculopatie (retinite, albuminuria, ipertensione labile). Calcificazioni delle arterie pelviche dimostrabili radiologicamente, nefropatie. Terapia insulinica.

Non è raro trovare pazienti appartenenti alla classe A. E' tuttavia necessario cercarle. Nel 1962 addirittura il 54% di tutte le diabetiche identificate presso l'ambulatorio prenatale del Mount Sianai Hospital apparteneva alla classe A.
Alcuni anni fa la stessa Priscilla White aveva sostenuto che i buoni successi ottenuti nella sua casistica erano legati all'usi di estrogeni e progesterone nelle gravide diabetiche. Tale opinione è stata successivamente confutata e attualmente si ritiene che il miglioramento della prognosi per le gravide diabetiche è da attribuirsi alla migliorata assistenza ostetrica ed alla specifica terapia antidiabetica.

-Terapia medica. Le pazienti appartenenti alla classe A possono essere mantenute a lungo in condizioni di normoglicemia sia con le diete opportune sia mediante piccole dosi di insulina.
Le pazienti appartenenti alle classi da B a F devono essere trattate con insulina oltre che con la dieta opportuna. In caso contrario vanno facilmente incontro alla chetosi e quindi allo scompenso diabetico. E' utile altresì somministrare vitamine, calcio e ferro.
- Dieta. La prescrizione abituale per 24 ore di una donna di peso normale e di altezza media può essere la seguente: 100 grammi di proteine, 80 grammi di grassi e 200 grammi di carboidrati. Poiché la gestosi è una frequente complicanza di tale malattia, è prudente ridurre l'apporto di sale fin dal primo trimestre di gravidanza.  La quantità di sale va ridotta subito a meno di 2 grammi al giorno qualora comparissero edemi, proteinuria, ipertensione.
- Terapia insulinica. Sono consigliabili piccole dosi (5 u.i.) di insulina pronta prima dei pasti alle pazienti appartenenti alla classe A che non mantengono uno stato di equilibrio con la sola dieta. Per le pazienti appartenenti alle classi da B ad F si può seguire lo schema seguente: una dose opportuna di insulina ritardo o mista con insulina pronta prima della colazione o del pasto serale. Tuttavia la quantità di insulina necessaria nelle 24 ore subirà delle variazioni generalmente in aumento con l'avanzare della gravidanza per il già descritto effetto diabetogeno della stessa. Necessario quindi, in via di massima, dosare glicemia e glicosuria ogni 15 giorni nel 1° trimestre, ogni settimana nel 2° trimestre, ogni due-tre giorni nel 3° trimestre.
A proposito della terapia insulinica va ricordato (ci ricorda il dottor Luigi Langella) che in caso di somministrazione di insulina di origine animale è possibile la introduzione della formazione di anticorpi antinsulinici provocando un quadro di insufficienza insulinica.

martedì 31 gennaio 2012

Dal report “Diabete e gravidanza” curato dal ginecologo Luigi Langella

L'incidenza della piolonefrite è quattro volte più frequente che nella gravida normale.
Il parto prematuro si riscontrerebbe con un'incidenza tra il 14 e il 25%. Sarebbe secondario ai sopracitati polidramnios e pielonefrite. I quozienti di mortalità nelle gravide diabetiche prima dell'avvento della terapia insulinica erano molto alti, dopo l'introduzione della terapia la mortalità materna legata al diabete è precipitata a valori veramente bassi (1,4%) o addirittura al di sotto dello 0,6%.
Interessante notare -sottolinea il ginecologo Luigi Langella - che al Mount Sianai Hospital l'incidenza della mortalità materna (dal 1° novembre 1952 al 31 dicembre 1961) su un totale di 253 gravidanze diabetiche è stata ancora al 9,5%. Tuttavia l'incidenza di tale mortalità tra le varie classi delle pazienti diabetiche classificate secondo White (vedi in seguito) è stata del 4,4% nella classe A e del 16% nelle classi da 3 a F. Tale mortalità, esclusi i gravi scompensi metabolici insorti in pazienti mal curate, è legata in genere a sopravvenuta eclampsia, incidenti operatori, gravi fatti infettivi.
I parti distocici nella gravida diabetica sono molto frequenti: essi sono legati alla macrosomia fetale e alla presenza di polidramnios con sovradistensione dell'utero.
Tra gli effetti di ordine biochimico che il diabete provoca sulla donna gravida, abitualmente si riscontrano progressive anomalie della prova da carico di glucosio che ritorna normale circa 72 ore dopo il parto. Tali anomalie si aggravano nelle successive gravidanze.
La malattia diabetica può inoltre provocare più facilmente uno stato chetoacidosico in gravidanza e soprattutto in travaglio di parto, chetoacidosi che può trasmettersi anche al feto.
Per quanto riguarda l'azione  che il diabete può avere sugli enzimi legati alla gravidanza poco è conosciuto.
Sono stati studiati la fosfatasi alcalina termostabile (HSAP) e la Diaminossidasi (DAO)
L' HSAP è un enzima circolante prodotto dal sinciziotrofoblasto la cui concentrazione non ha alcuna correlazione con il peso fetale o placentare; ha una vita media di tre giorni e viene secreto unidirezionalmente nella circolazione materna. La sua concentrazione sierica aumenta dalle 2,9 KAU dei IV mese alle 10,9 KAU presso il termine. Nelle gravide diabetiche sono stati riscontrati valori normali o più bassi.
La Diaminossidasi (DAO) è un enzima secreto soprattutto dalla decidua. Nella gravida normale aumenta da valori non misurabili prima della 20ª settimana fino ad oltre le 500 U/ml presso il termine. Nelle gravide diabetiche i valori sono inferiori ai limiti normali o decisamente bassi.

Influenza del diabete sull'unità feto-placentare. I risultati analizzato dal Dottor Luigi Langella

Le ricerche degli ultimi anni hanno ormai stabilito l'impossibilità di separare il feto dalla placenta per lo studio delle eventuali interferenze reciproche fra madre e prodotto del concepimento. La placenta con la sua estesa superficie esposta alla corrente sanguigna materna è soggetta ai disordini generalizzati del metabolismo in una maniera simile ad altri tessuti anche se essa ha una vita relativamente breve.
Per quanto concerne l'aspetto macroscopico, la placenta al terzo trimestre di gravidanza in una donna diabetica è descritta comunemente come voluminosa, umida, congesta. Molto raro è il riscontro di infarti e di trombi intervillosi per lo meno in quelle gravidanze non complicate da gestosi. Statistiche degli ultimi anni indicano un peso medio di circa 500 grammi a termine di gravidanza, ma nel 10% il peso raggiunge e supera i 900 grammi . Il rapporto di peso feto-placenta è in genere nei limiti normali.
Dal punto di vista microscopico, nessuna delle alterazioni che saranno esposte può essere utilizzata a scopo diagnostico. La più costante alterazione osservata è l'aumento del materiale della membrana basale nei villi corionici terminali interessante sia la membrana basale dell'epitelio e dei capillari, sia lo stroma.
Altre alterazioni, come l'ipertrofia delle parti medie delle arterie descritte da alcuni Autori, si rinvengono quasi esclusivamente in placente associate con morte endouterina del feto.
Una insufficiente formazione di carboidrati strutturali è stata recentemente ipotizzata per spiegare molte delle alterazioni vascolari placentari nel diabete. Ultimamente è stata richiamata l'attenzione sull'aumentato deposito di glicogeno che si osserva spesso nello stroma dei villi placentari. La capacità del tessuto placentare a sintetizzare glicogeno normalmente scompare nella gravidanza avanzata. Il persistere di tale capacità può essere dovuto ad uno stato di immaturità funzionale e a nuova formazione di villi, quando si possa escludere l'eventuale azione dell'insulina esogena sul tessuto villoso.
E' stata ammessa una correlazione tra la gravità delle lesioni vascolari placentari nel diabete, la durata e il cattivo controllo della malattia. Poiché è stato ipotizzato che l'ispessimento della membrana basale può essere riferito ad azione in loco di insulina intrappolata, è stata prospettata una correlazione tra il tipo di terapia e le modificazioni della membrana basale. Ulteriori indagini svolte su soggetti riceventi farmaci ipoglicemici orali e insulina non hanno tuttavia confermato questa ipotesi. E' stato dimostrato che il glucosio attraversa liberamente la placenta per raggiungere il feto ove viene utilizzato per varie necessità metaboliche.
Un abbassamento del gradiente transplacentare per alcuni aminoacidi e per l'ossigeno è stato riscontrato in alcune placente di madri diabetiche con cospicuo edema di villi coriali e deposito di glicogeno. Questa scoperta potrebbe spiegare il frequente riscontro di insufficienza respiratoria cui vanno incontro nelle prime 48 ore i neonati da madri diabetiche e va interpretata come conseguenza della ipossia fetale.
La placenta e la sua funzionalità hanno assunto negli ultimi tempi il ruolo di indice della buona vitalità fetale. L'eliminazione urinaria dell'estriolo, che è secreto dalla placenta utilizzando precursori di origine fetale, dopo la 20ª settimana aumenta progressivamente sino a superare sia nella gravida normale che nella gravida diabetica i 12 mg/die, valore che dopo la 32ª settimana è un limite invalicabile al di sotto del quale il rischio per il feto è altissimo.
L'estriolo è il più abbondante tra gli estrogeni eliminati con le urine ed il suo livello sembra essere strettamente correlato con il peso fetale, ma non con il peso placentare.
L'estrione e l'estradiolo 17 sono indici della funzionalità della sola placenta, ma i livelli urinari non sono utilizzabili come indice correlabile al peso fetale o placentare.

Negli ultimi tempi è stata introdotta la determinazione dell'estriolo plasmatico che presenterebbe dei vantaggi rispetto a quello urinario (influenza minore della postura e della funzione renale, mancanza di influenza dell'iperglicemia. Il livello dell'estriolo plasmatico nelle gravide normali alla 25ª settimana di gestazione oscilla tra g 0,5/100 ml a g 3/100 ml, per aumentare verso il termine da 9 g/100 ml a 22 g/100 ml.
ecentemente è stato messo a punto un nuovo test della funzione placentare denominato OGT (oxjtocin challenge test) in grado di dimostrare segni di una diminuita riserva fetale prima della caduta dell'estriolo. Nessuna gravida diabetica con un normale OCT manifestò escrezione di estriolo patologica o asfissia fetale durante il travaglio e il parto.
Il progesterone è un ormone che è sintetizzato ex novo dall'acetato da parte della placenta. Esso viene dosato sotto forma di pregnandiolo nelle urine, ma questo rappresenta soltanto il 10-12% della secrezione placentare di progesterone. La sua concentrazione urinaria oscilla tra i 10 μg/ml alla 10ª settimana di gestazione e i 45 μg/ml alla 36ª settimana con una modesta diminuzione presso il termine. Sfortunatamente vi è scarsa correlazione fra i livelli di progesterone sierico e l'eliminazione di pregnandiolo urinario e, a causa di una importante disfunzione placentare, essi possono rimanere normali per parecchio tempo dopo la morte del feto in utero. Una parte del progesterone è inoltre convertita dalla surrenale fetale in 17-idrossiprogesterone a sua volta eliminato dalla madre sotto forma di pregnantriolo urinario. Pertanto il  17-idrossiprogesterone e il pregnantriolo rappresentano più strettamente un indice per l'unità feto-placentare.
Alcuni ricercatori hanno inoltre potuto dimostrare una stretta collaborazione tra pregnantriolo e l'estriolo urinario. Riguardo alle gravidanze diabetiche i dati sono piuttosto limitati. In letteratura sono riportati i valori normali o al di sotto della norma. Notevole contributo per la prognosi fetale è stato recentemente apportato dalla introduzione del dosaggio radioimmunologico dell'alfa fetoproteina. Questa proteina è sintetizzata dal fegato fetale e dal sacco vitellino, ma in piccole quantità è presente anche nel siero degli adulti normali. I suoi livelli aumentano progressivamente durante la gravidanza passando dai 53 ng/ml ai 500 ng/ml della 32ª settimana per poi scendere nuovamente a valori più bassi (164 ng/ml alla 37ª settimana – 87 ng/ml alla 41ª settimana).
E' stato dimostrato che nelle gravide ad alto rischio e nelle gravide diabetiche la comparsa di una sofferenza o della morte del feto è preceduta, da uno a quattordici giorni, da un aumento improvviso dei livelli sierici di alfa fetoproteina rispetto ai valori che si riscontrano nelle gravide normali. Situazione similare si riscontra nei dosaggi dell'alfa fetoproteina nel liquido amniotico, dove però i livelli massimi (26.000 ng/ml) si trovano alla 15ª settimana, mentre oltre la 36ª settimana i valori non superano i 185 ng/ml.
Questo dosaggio, che può essere effettuato anche con metodi diversi da quello radio-immunologico, può apportare utili informazioni per lo stato di salute del feto in utero.
L'HCG nei primi due trimestri di gravidanza può essere usato come indice della buona funzionalità feto-placentare. La sua massima eliminazione avviene alla fine del primo trimestre di gravidanza e può raggiungere nella gravidanza monoovulare le 20.000 U.I./litro di urina/die. In seguito la sua eliminazione decresce progressivamente fin quasi a scomparire al termine della gravidanza. Nella gravida diabetica vi può essere un persistere della sua eliminazione anche nel terzo trimestre di gravidanza; probabilmente questo fenomeno è dovuto al ringiovanimento del trofoblasto delle placente di madri diabetiche.
L'introduzione dei metodi radioimmunologici ha permesso la valutazione dell'HCG plasmatico fin dalla prima settimana dopo l'impianto, per raggiungere i massimi valori tra l'ottava e la decima settimana (163 U.I./ml) per scendere alle 12 U.I./ml alla 18ª settimana, per poi risalire alla 36ª settimana ai valori intorno alle 63 U.I./ml e rimanere così fino al termine. Nella gravida diabetica gli studi di Priscilla e White hanno dimostrato che nel III trimestre di gravidanza il valore medio dell'HCG plasmatico è intorno alle 135 U.I./ml. Tale scoperta apre nuove possibilità di controllo nelle gravide diabetiche in quanto una diminuzione della quantità secreta può essere usata come segno di insufficienza placentare. L'azione dell'HCG non è ancora del tutto chiarita. E' certa la sua azione di stimolo sulla increzione degli steroidi ovarici prima, placentari poi, soprattutto estrogeni; è probabile la sua azione immunosoppressiva nel facilitare l'innesto ovulare; è stato dimostrato un suo effetto glicogenolitico, per lo meno su placente perfuse in vitro, per incremento della concentrazione intracellulare dell'AMP ciclico che a sua volta induce la fosforilizzazione del glucosio a glucosio 1,6 difosfato; è stato accertato soprattutto negli obesi che esso provoca una riduzione della lipidemia e del rapporto lipoproteine postprandiali e della colesterolemia. La secrezione dell'HPL è identificabile per mezzo di metodi radio-immunologici fin dalla 6ª-8ª settimana di gestazione. La sua concentrazione serica va progressivamente aumentando dai 3,5 ± 1,7 g/ml della 18ª settimana  fino ai 9,7 ± 1,05 g/ml della 36ª settimana. A causa del brevissimo tempo di vita media nel siero (meno di 30 minuti) è stato calcolato che in realtà la secrezione alla 36ª settimana dovrebbe essere di 1 g al giorno. Comunque 24 ore dopo il parto non è più dosabile. Nel siero del cordone fetale la sua concentrazione è di circa 1,4% della concentrazione che si rinviene nel siero materno, il che indica passaggio transplacentare bassissimo o nullo. Il dosaggio dell'HPL prima della comparsa del travaglio può essere usato come indice della funzionalità placentare.
Nella gravida diabetica sarebbero stati riscontrati aumenti notevoli della concentrazione sierica dell'HPL e tali incrementi possono essere usati come indice della gravità della malattia.
Tali aumenti della concentrazione sono stati comunque notati soltanto dopo la 20ª settimana con un aumento più rapido dopo la 36ª settimana, mentre prima della 20ª settimana i valori plasmatici coincidono con quelli delle gravide normali.
E' importante notare che l'HPL è indice della funzionalità della sola placenta, in quanto l'eventuale morte del feto in utero non influenza la sua secrezione.

giovedì 12 gennaio 2012

Ginecologo Luigi Langella: la citologia vaginale come mezzo diagnostico

A. Ansaldi – Luigi Langella – A. Corcione – V. Miranda – M. R. Annunziata – A. R. Marino

Gli Autori valutano l'importanza della citologia vaginale in gravidanza in condizioni di deficit di progesterone. Discutono, inoltre, di quelli che sono i limiti di un tale tipo di esame e quindi delle possibili utilizzazioni da un punto di vista diagnostico.
Confronto tra valutazione citologica del progesterone e la escrezione del pregnanediolo.

Tra le varie applicazioni della citologia ormonale vi è la possibilità di valutare una condizione di deficit di progesterone allo scopo di effettuare una diagnosi di patologia gravidica. L'epitelio vaginale, infatti, reagisce in maniera del tutto caratteristica alla stimolazione o alla carenza del predetto ormone, dando luogo a quadri peculiari in entrambi i casi.

Disturbi dell'equilibrio estrogeni/progesterone causati da inadeguata produzione di progesterone si accompagnano ad un alto grado di maturazione epiteliale. Quando il livello di progesterone diminuisce, gli estrogeni, essendo inibiti, esercitano una influenza maggiore  sull'epitelio vaginale. Ciò si riflette sul quadro morfologico che assume un significato diagnostico, variando, naturalmente a seconda del grado di carenza di progesterone.
All'inizio, essendo i livelli ormonali meno alterati, i grandi grappoli di cellule navicolari si presentano isolatamente, per scomparire infine del tutto. Una carenza un po' più seria è presente quando si evidenziano nello striscio un numero crescente di cellule isolate e qualche cellula eosinofila. Un grave difetto di progesterone è caratterizzato dall'assenza di cellule a grappolo e dalla sostituzione delle cellule dello strato medio da parte di quelle dello strato superficiale. Maggiore è la carenza di progesterone, maggiore è la percentuale di cellule squamose superficiali; questo il resoconto dei risultati di studio svolti dagli autori, come il ginecologo Luigi Langella.

Effetti del progesterone       Escrezione  del    pregnanediolo   nelle  urine   delle   24 h (mg).
sullo striscio vaginale              8 sett.             12 sett.            16 sett.            20 sett.           24 sett.
Buono                                      10,8                   13,2                  19,5               23,3                35,3
Discreto                                   10,2                   13,5                  17,4               19,4                25,4
Ottimo                                       9,0                     7,9                  12,3                12,0               16,5

giovedì 5 gennaio 2012

Il metodo della scuola di Tolosa di parto pilotato, le analisi del dottor Luigi Langella

Conclusioni.
Sulla base dei dati desunti dalla letteratura, si può affermare che il metodo della scuola di Tolosa di parto pilotato in anestesia generale rappresenta un presidio terapeutico di indubbia efficacia nell'ostetricia moderna. Condizione indispensabile per l'esecuzione della metodica e per la prevenzione di ogni possibile rischio è che essa venga attuata in ambiente ospedaliero attrezzato.

I vantaggi del metodo sono numerosi, e tra tutti vogliamo sottolineare i principali. Queste le considerazioni del dottor Luigi Langella: abbreviazione della durata totale del parto, dato che da una dilatazione di 4-5 cm ì, in 15-30' si ottiene l'espulsione del corpo fetale. Conseguente diminuzione di quei rischi fetali che sono legati al protrarsi del travaglio di parto. L'impiego dell'organismo materno è in notevole misura ridotto per la diminuzione dello stress muscolare e l’eliminazione di quello psichico. Nello stesso tempo è annullata l'influenza corticale sul sistema neurovegetativo, che ormai è per comune accezione causa di numerose complicazioni del travaglio di parto. La possibilità di ossigenare abbondantemente la donna e con essa il feto provoca un miglioramento delle condizioni di quest'ultimo in caso di sofferenza fetale. Questo è senza dubbio uno dei vantaggi di maggiore importanza perché molti casi di sofferenza fetale in travaglio di parto, che tanto incidono sulla frequenza dei tagli cesarei, si giovano di una soluzione terapeutica molto più semplice e meno pericolosa.
La somministrazione dell'anestetico in piccole dosi refratte consente la realizzazione di uno stato di narcosi molto superficiale, e di ottenere il rapido risveglio della paziente in qualunque momento lo si desideri. Il vantaggio forse più notevole di questa tecnica di parto in anestesia è la scarsa influenza che essa ha sulle condizioni del neonato che, nella maggior parte dei casi, nasce in condizioni del tutto normali e vagisce immediatamente. Altre volte si presenta in uno stato di lieve ipnosi e rilasciamento, ma con caratteristiche di una buona ossigenazione. Anche in questi casi comunque la respirazione si instaura rapidamente e il vagito non tarda a comparire, anche se un po' flebile.
Per quanto riguarda le condizioni permittenti, questa tecnica può essere iniziata a 4-5 cm di dilatazione, con bordi cervicali sottili. A tal proposito Fioretti e Coll. riferiscono di aver provato il metodo partendo da una dilatazione di 2-3 cm, con buoni risultati. Questi AA. però sconsigliano l'attuazione del metodo in tali condizioni, per il maggior rischio di lacerazioni del collo dell'utero.
L'impegno della parte presentata non è necessario, perché esso si verifica rapidamente una volta iniziato il trattamento. A tal proposito il Revaz usa il metodo al fine di diminuire la frequenza dei tagli cesarei, nei casi di sproporzione feto-pelvica. In tali casi il comportamento è il seguente: inizio dell'anestesia-infusione, e controllo per via vaginale dell'eventuale impegno della parte presentata. Se questo non si verifica entro 5' dall'inizio dell'anestesia, si segue il taglio cesareo, mentre se la parte si impegna si lascia svolgere il parto per vie naturali.
Alla luce di quanto finora esposto si può concludere che il metodo di parto pilotato in anestesia generale secondo la scuola di Tolosa, è da preferirsi, per i numerosi vantaggi che comporta, agli altri metodi oggi in uso, purché esso venga attuato in ambiente attrezzato per ogni evenienza e si avvalga dell'esperienza e della stretta collaborazione dell'ostetrico e dell'anestesista. Per la possibilità che esso ci offre di diminuire il numero di tagli cesarei tale metodo ha una grande importanza in senso finalistico, poiché migliora in senso lato l'avvenire ostetrico della madre.

Riassunto della relazione curata dal ginecologo Luigi Langella. Il parto pilotato mediante infusione di ossitocici in anestesia generale barbiturica è ormai comunemente praticato dagli autori nel loro presidio ospedaliero con risultati soddisfacenti sia per la partoriente che per il feto; per la prima infatti il parto si esplica in tempi più brevi e senza dolore; per il feto si riducono i casi di sofferenza fetale e talvolta di Exitus. Si abbassa, inoltre, lievemente il numero dei tagli cesarei, e infine l'operatore può lavorare in condizioni migliori non venendo condizionato dallo stato di sofferenza della partoriente.