martedì 31 gennaio 2012

Dal report “Diabete e gravidanza” curato dal ginecologo Luigi Langella

L'incidenza della piolonefrite è quattro volte più frequente che nella gravida normale.
Il parto prematuro si riscontrerebbe con un'incidenza tra il 14 e il 25%. Sarebbe secondario ai sopracitati polidramnios e pielonefrite. I quozienti di mortalità nelle gravide diabetiche prima dell'avvento della terapia insulinica erano molto alti, dopo l'introduzione della terapia la mortalità materna legata al diabete è precipitata a valori veramente bassi (1,4%) o addirittura al di sotto dello 0,6%.
Interessante notare -sottolinea il ginecologo Luigi Langella - che al Mount Sianai Hospital l'incidenza della mortalità materna (dal 1° novembre 1952 al 31 dicembre 1961) su un totale di 253 gravidanze diabetiche è stata ancora al 9,5%. Tuttavia l'incidenza di tale mortalità tra le varie classi delle pazienti diabetiche classificate secondo White (vedi in seguito) è stata del 4,4% nella classe A e del 16% nelle classi da 3 a F. Tale mortalità, esclusi i gravi scompensi metabolici insorti in pazienti mal curate, è legata in genere a sopravvenuta eclampsia, incidenti operatori, gravi fatti infettivi.
I parti distocici nella gravida diabetica sono molto frequenti: essi sono legati alla macrosomia fetale e alla presenza di polidramnios con sovradistensione dell'utero.
Tra gli effetti di ordine biochimico che il diabete provoca sulla donna gravida, abitualmente si riscontrano progressive anomalie della prova da carico di glucosio che ritorna normale circa 72 ore dopo il parto. Tali anomalie si aggravano nelle successive gravidanze.
La malattia diabetica può inoltre provocare più facilmente uno stato chetoacidosico in gravidanza e soprattutto in travaglio di parto, chetoacidosi che può trasmettersi anche al feto.
Per quanto riguarda l'azione  che il diabete può avere sugli enzimi legati alla gravidanza poco è conosciuto.
Sono stati studiati la fosfatasi alcalina termostabile (HSAP) e la Diaminossidasi (DAO)
L' HSAP è un enzima circolante prodotto dal sinciziotrofoblasto la cui concentrazione non ha alcuna correlazione con il peso fetale o placentare; ha una vita media di tre giorni e viene secreto unidirezionalmente nella circolazione materna. La sua concentrazione sierica aumenta dalle 2,9 KAU dei IV mese alle 10,9 KAU presso il termine. Nelle gravide diabetiche sono stati riscontrati valori normali o più bassi.
La Diaminossidasi (DAO) è un enzima secreto soprattutto dalla decidua. Nella gravida normale aumenta da valori non misurabili prima della 20ª settimana fino ad oltre le 500 U/ml presso il termine. Nelle gravide diabetiche i valori sono inferiori ai limiti normali o decisamente bassi.

Influenza del diabete sull'unità feto-placentare. I risultati analizzato dal Dottor Luigi Langella

Le ricerche degli ultimi anni hanno ormai stabilito l'impossibilità di separare il feto dalla placenta per lo studio delle eventuali interferenze reciproche fra madre e prodotto del concepimento. La placenta con la sua estesa superficie esposta alla corrente sanguigna materna è soggetta ai disordini generalizzati del metabolismo in una maniera simile ad altri tessuti anche se essa ha una vita relativamente breve.
Per quanto concerne l'aspetto macroscopico, la placenta al terzo trimestre di gravidanza in una donna diabetica è descritta comunemente come voluminosa, umida, congesta. Molto raro è il riscontro di infarti e di trombi intervillosi per lo meno in quelle gravidanze non complicate da gestosi. Statistiche degli ultimi anni indicano un peso medio di circa 500 grammi a termine di gravidanza, ma nel 10% il peso raggiunge e supera i 900 grammi . Il rapporto di peso feto-placenta è in genere nei limiti normali.
Dal punto di vista microscopico, nessuna delle alterazioni che saranno esposte può essere utilizzata a scopo diagnostico. La più costante alterazione osservata è l'aumento del materiale della membrana basale nei villi corionici terminali interessante sia la membrana basale dell'epitelio e dei capillari, sia lo stroma.
Altre alterazioni, come l'ipertrofia delle parti medie delle arterie descritte da alcuni Autori, si rinvengono quasi esclusivamente in placente associate con morte endouterina del feto.
Una insufficiente formazione di carboidrati strutturali è stata recentemente ipotizzata per spiegare molte delle alterazioni vascolari placentari nel diabete. Ultimamente è stata richiamata l'attenzione sull'aumentato deposito di glicogeno che si osserva spesso nello stroma dei villi placentari. La capacità del tessuto placentare a sintetizzare glicogeno normalmente scompare nella gravidanza avanzata. Il persistere di tale capacità può essere dovuto ad uno stato di immaturità funzionale e a nuova formazione di villi, quando si possa escludere l'eventuale azione dell'insulina esogena sul tessuto villoso.
E' stata ammessa una correlazione tra la gravità delle lesioni vascolari placentari nel diabete, la durata e il cattivo controllo della malattia. Poiché è stato ipotizzato che l'ispessimento della membrana basale può essere riferito ad azione in loco di insulina intrappolata, è stata prospettata una correlazione tra il tipo di terapia e le modificazioni della membrana basale. Ulteriori indagini svolte su soggetti riceventi farmaci ipoglicemici orali e insulina non hanno tuttavia confermato questa ipotesi. E' stato dimostrato che il glucosio attraversa liberamente la placenta per raggiungere il feto ove viene utilizzato per varie necessità metaboliche.
Un abbassamento del gradiente transplacentare per alcuni aminoacidi e per l'ossigeno è stato riscontrato in alcune placente di madri diabetiche con cospicuo edema di villi coriali e deposito di glicogeno. Questa scoperta potrebbe spiegare il frequente riscontro di insufficienza respiratoria cui vanno incontro nelle prime 48 ore i neonati da madri diabetiche e va interpretata come conseguenza della ipossia fetale.
La placenta e la sua funzionalità hanno assunto negli ultimi tempi il ruolo di indice della buona vitalità fetale. L'eliminazione urinaria dell'estriolo, che è secreto dalla placenta utilizzando precursori di origine fetale, dopo la 20ª settimana aumenta progressivamente sino a superare sia nella gravida normale che nella gravida diabetica i 12 mg/die, valore che dopo la 32ª settimana è un limite invalicabile al di sotto del quale il rischio per il feto è altissimo.
L'estriolo è il più abbondante tra gli estrogeni eliminati con le urine ed il suo livello sembra essere strettamente correlato con il peso fetale, ma non con il peso placentare.
L'estrione e l'estradiolo 17 sono indici della funzionalità della sola placenta, ma i livelli urinari non sono utilizzabili come indice correlabile al peso fetale o placentare.

Negli ultimi tempi è stata introdotta la determinazione dell'estriolo plasmatico che presenterebbe dei vantaggi rispetto a quello urinario (influenza minore della postura e della funzione renale, mancanza di influenza dell'iperglicemia. Il livello dell'estriolo plasmatico nelle gravide normali alla 25ª settimana di gestazione oscilla tra g 0,5/100 ml a g 3/100 ml, per aumentare verso il termine da 9 g/100 ml a 22 g/100 ml.
ecentemente è stato messo a punto un nuovo test della funzione placentare denominato OGT (oxjtocin challenge test) in grado di dimostrare segni di una diminuita riserva fetale prima della caduta dell'estriolo. Nessuna gravida diabetica con un normale OCT manifestò escrezione di estriolo patologica o asfissia fetale durante il travaglio e il parto.
Il progesterone è un ormone che è sintetizzato ex novo dall'acetato da parte della placenta. Esso viene dosato sotto forma di pregnandiolo nelle urine, ma questo rappresenta soltanto il 10-12% della secrezione placentare di progesterone. La sua concentrazione urinaria oscilla tra i 10 μg/ml alla 10ª settimana di gestazione e i 45 μg/ml alla 36ª settimana con una modesta diminuzione presso il termine. Sfortunatamente vi è scarsa correlazione fra i livelli di progesterone sierico e l'eliminazione di pregnandiolo urinario e, a causa di una importante disfunzione placentare, essi possono rimanere normali per parecchio tempo dopo la morte del feto in utero. Una parte del progesterone è inoltre convertita dalla surrenale fetale in 17-idrossiprogesterone a sua volta eliminato dalla madre sotto forma di pregnantriolo urinario. Pertanto il  17-idrossiprogesterone e il pregnantriolo rappresentano più strettamente un indice per l'unità feto-placentare.
Alcuni ricercatori hanno inoltre potuto dimostrare una stretta collaborazione tra pregnantriolo e l'estriolo urinario. Riguardo alle gravidanze diabetiche i dati sono piuttosto limitati. In letteratura sono riportati i valori normali o al di sotto della norma. Notevole contributo per la prognosi fetale è stato recentemente apportato dalla introduzione del dosaggio radioimmunologico dell'alfa fetoproteina. Questa proteina è sintetizzata dal fegato fetale e dal sacco vitellino, ma in piccole quantità è presente anche nel siero degli adulti normali. I suoi livelli aumentano progressivamente durante la gravidanza passando dai 53 ng/ml ai 500 ng/ml della 32ª settimana per poi scendere nuovamente a valori più bassi (164 ng/ml alla 37ª settimana – 87 ng/ml alla 41ª settimana).
E' stato dimostrato che nelle gravide ad alto rischio e nelle gravide diabetiche la comparsa di una sofferenza o della morte del feto è preceduta, da uno a quattordici giorni, da un aumento improvviso dei livelli sierici di alfa fetoproteina rispetto ai valori che si riscontrano nelle gravide normali. Situazione similare si riscontra nei dosaggi dell'alfa fetoproteina nel liquido amniotico, dove però i livelli massimi (26.000 ng/ml) si trovano alla 15ª settimana, mentre oltre la 36ª settimana i valori non superano i 185 ng/ml.
Questo dosaggio, che può essere effettuato anche con metodi diversi da quello radio-immunologico, può apportare utili informazioni per lo stato di salute del feto in utero.
L'HCG nei primi due trimestri di gravidanza può essere usato come indice della buona funzionalità feto-placentare. La sua massima eliminazione avviene alla fine del primo trimestre di gravidanza e può raggiungere nella gravidanza monoovulare le 20.000 U.I./litro di urina/die. In seguito la sua eliminazione decresce progressivamente fin quasi a scomparire al termine della gravidanza. Nella gravida diabetica vi può essere un persistere della sua eliminazione anche nel terzo trimestre di gravidanza; probabilmente questo fenomeno è dovuto al ringiovanimento del trofoblasto delle placente di madri diabetiche.
L'introduzione dei metodi radioimmunologici ha permesso la valutazione dell'HCG plasmatico fin dalla prima settimana dopo l'impianto, per raggiungere i massimi valori tra l'ottava e la decima settimana (163 U.I./ml) per scendere alle 12 U.I./ml alla 18ª settimana, per poi risalire alla 36ª settimana ai valori intorno alle 63 U.I./ml e rimanere così fino al termine. Nella gravida diabetica gli studi di Priscilla e White hanno dimostrato che nel III trimestre di gravidanza il valore medio dell'HCG plasmatico è intorno alle 135 U.I./ml. Tale scoperta apre nuove possibilità di controllo nelle gravide diabetiche in quanto una diminuzione della quantità secreta può essere usata come segno di insufficienza placentare. L'azione dell'HCG non è ancora del tutto chiarita. E' certa la sua azione di stimolo sulla increzione degli steroidi ovarici prima, placentari poi, soprattutto estrogeni; è probabile la sua azione immunosoppressiva nel facilitare l'innesto ovulare; è stato dimostrato un suo effetto glicogenolitico, per lo meno su placente perfuse in vitro, per incremento della concentrazione intracellulare dell'AMP ciclico che a sua volta induce la fosforilizzazione del glucosio a glucosio 1,6 difosfato; è stato accertato soprattutto negli obesi che esso provoca una riduzione della lipidemia e del rapporto lipoproteine postprandiali e della colesterolemia. La secrezione dell'HPL è identificabile per mezzo di metodi radio-immunologici fin dalla 6ª-8ª settimana di gestazione. La sua concentrazione serica va progressivamente aumentando dai 3,5 ± 1,7 g/ml della 18ª settimana  fino ai 9,7 ± 1,05 g/ml della 36ª settimana. A causa del brevissimo tempo di vita media nel siero (meno di 30 minuti) è stato calcolato che in realtà la secrezione alla 36ª settimana dovrebbe essere di 1 g al giorno. Comunque 24 ore dopo il parto non è più dosabile. Nel siero del cordone fetale la sua concentrazione è di circa 1,4% della concentrazione che si rinviene nel siero materno, il che indica passaggio transplacentare bassissimo o nullo. Il dosaggio dell'HPL prima della comparsa del travaglio può essere usato come indice della funzionalità placentare.
Nella gravida diabetica sarebbero stati riscontrati aumenti notevoli della concentrazione sierica dell'HPL e tali incrementi possono essere usati come indice della gravità della malattia.
Tali aumenti della concentrazione sono stati comunque notati soltanto dopo la 20ª settimana con un aumento più rapido dopo la 36ª settimana, mentre prima della 20ª settimana i valori plasmatici coincidono con quelli delle gravide normali.
E' importante notare che l'HPL è indice della funzionalità della sola placenta, in quanto l'eventuale morte del feto in utero non influenza la sua secrezione.

giovedì 12 gennaio 2012

Ginecologo Luigi Langella: la citologia vaginale come mezzo diagnostico

A. Ansaldi – Luigi Langella – A. Corcione – V. Miranda – M. R. Annunziata – A. R. Marino

Gli Autori valutano l'importanza della citologia vaginale in gravidanza in condizioni di deficit di progesterone. Discutono, inoltre, di quelli che sono i limiti di un tale tipo di esame e quindi delle possibili utilizzazioni da un punto di vista diagnostico.
Confronto tra valutazione citologica del progesterone e la escrezione del pregnanediolo.

Tra le varie applicazioni della citologia ormonale vi è la possibilità di valutare una condizione di deficit di progesterone allo scopo di effettuare una diagnosi di patologia gravidica. L'epitelio vaginale, infatti, reagisce in maniera del tutto caratteristica alla stimolazione o alla carenza del predetto ormone, dando luogo a quadri peculiari in entrambi i casi.

Disturbi dell'equilibrio estrogeni/progesterone causati da inadeguata produzione di progesterone si accompagnano ad un alto grado di maturazione epiteliale. Quando il livello di progesterone diminuisce, gli estrogeni, essendo inibiti, esercitano una influenza maggiore  sull'epitelio vaginale. Ciò si riflette sul quadro morfologico che assume un significato diagnostico, variando, naturalmente a seconda del grado di carenza di progesterone.
All'inizio, essendo i livelli ormonali meno alterati, i grandi grappoli di cellule navicolari si presentano isolatamente, per scomparire infine del tutto. Una carenza un po' più seria è presente quando si evidenziano nello striscio un numero crescente di cellule isolate e qualche cellula eosinofila. Un grave difetto di progesterone è caratterizzato dall'assenza di cellule a grappolo e dalla sostituzione delle cellule dello strato medio da parte di quelle dello strato superficiale. Maggiore è la carenza di progesterone, maggiore è la percentuale di cellule squamose superficiali; questo il resoconto dei risultati di studio svolti dagli autori, come il ginecologo Luigi Langella.

Effetti del progesterone       Escrezione  del    pregnanediolo   nelle  urine   delle   24 h (mg).
sullo striscio vaginale              8 sett.             12 sett.            16 sett.            20 sett.           24 sett.
Buono                                      10,8                   13,2                  19,5               23,3                35,3
Discreto                                   10,2                   13,5                  17,4               19,4                25,4
Ottimo                                       9,0                     7,9                  12,3                12,0               16,5

giovedì 5 gennaio 2012

Il metodo della scuola di Tolosa di parto pilotato, le analisi del dottor Luigi Langella

Conclusioni.
Sulla base dei dati desunti dalla letteratura, si può affermare che il metodo della scuola di Tolosa di parto pilotato in anestesia generale rappresenta un presidio terapeutico di indubbia efficacia nell'ostetricia moderna. Condizione indispensabile per l'esecuzione della metodica e per la prevenzione di ogni possibile rischio è che essa venga attuata in ambiente ospedaliero attrezzato.

I vantaggi del metodo sono numerosi, e tra tutti vogliamo sottolineare i principali. Queste le considerazioni del dottor Luigi Langella: abbreviazione della durata totale del parto, dato che da una dilatazione di 4-5 cm ì, in 15-30' si ottiene l'espulsione del corpo fetale. Conseguente diminuzione di quei rischi fetali che sono legati al protrarsi del travaglio di parto. L'impiego dell'organismo materno è in notevole misura ridotto per la diminuzione dello stress muscolare e l’eliminazione di quello psichico. Nello stesso tempo è annullata l'influenza corticale sul sistema neurovegetativo, che ormai è per comune accezione causa di numerose complicazioni del travaglio di parto. La possibilità di ossigenare abbondantemente la donna e con essa il feto provoca un miglioramento delle condizioni di quest'ultimo in caso di sofferenza fetale. Questo è senza dubbio uno dei vantaggi di maggiore importanza perché molti casi di sofferenza fetale in travaglio di parto, che tanto incidono sulla frequenza dei tagli cesarei, si giovano di una soluzione terapeutica molto più semplice e meno pericolosa.
La somministrazione dell'anestetico in piccole dosi refratte consente la realizzazione di uno stato di narcosi molto superficiale, e di ottenere il rapido risveglio della paziente in qualunque momento lo si desideri. Il vantaggio forse più notevole di questa tecnica di parto in anestesia è la scarsa influenza che essa ha sulle condizioni del neonato che, nella maggior parte dei casi, nasce in condizioni del tutto normali e vagisce immediatamente. Altre volte si presenta in uno stato di lieve ipnosi e rilasciamento, ma con caratteristiche di una buona ossigenazione. Anche in questi casi comunque la respirazione si instaura rapidamente e il vagito non tarda a comparire, anche se un po' flebile.
Per quanto riguarda le condizioni permittenti, questa tecnica può essere iniziata a 4-5 cm di dilatazione, con bordi cervicali sottili. A tal proposito Fioretti e Coll. riferiscono di aver provato il metodo partendo da una dilatazione di 2-3 cm, con buoni risultati. Questi AA. però sconsigliano l'attuazione del metodo in tali condizioni, per il maggior rischio di lacerazioni del collo dell'utero.
L'impegno della parte presentata non è necessario, perché esso si verifica rapidamente una volta iniziato il trattamento. A tal proposito il Revaz usa il metodo al fine di diminuire la frequenza dei tagli cesarei, nei casi di sproporzione feto-pelvica. In tali casi il comportamento è il seguente: inizio dell'anestesia-infusione, e controllo per via vaginale dell'eventuale impegno della parte presentata. Se questo non si verifica entro 5' dall'inizio dell'anestesia, si segue il taglio cesareo, mentre se la parte si impegna si lascia svolgere il parto per vie naturali.
Alla luce di quanto finora esposto si può concludere che il metodo di parto pilotato in anestesia generale secondo la scuola di Tolosa, è da preferirsi, per i numerosi vantaggi che comporta, agli altri metodi oggi in uso, purché esso venga attuato in ambiente attrezzato per ogni evenienza e si avvalga dell'esperienza e della stretta collaborazione dell'ostetrico e dell'anestesista. Per la possibilità che esso ci offre di diminuire il numero di tagli cesarei tale metodo ha una grande importanza in senso finalistico, poiché migliora in senso lato l'avvenire ostetrico della madre.

Riassunto della relazione curata dal ginecologo Luigi Langella. Il parto pilotato mediante infusione di ossitocici in anestesia generale barbiturica è ormai comunemente praticato dagli autori nel loro presidio ospedaliero con risultati soddisfacenti sia per la partoriente che per il feto; per la prima infatti il parto si esplica in tempi più brevi e senza dolore; per il feto si riducono i casi di sofferenza fetale e talvolta di Exitus. Si abbassa, inoltre, lievemente il numero dei tagli cesarei, e infine l'operatore può lavorare in condizioni migliori non venendo condizionato dallo stato di sofferenza della partoriente.